Massimiliano Vaira
Le nuove tecnologie informatiche stanno rivoluzionando ogni aspetto della vita sociale. Il dibattito si polarizza tra catastrofisti e entusiasti, con tendenze ideologiche e deterministiche. Ma effetti, potenzialità e limiti delle nuove tecnologie per l’uso e lo sviluppo della conoscenza vanno letti alla luce dei condizionamenti sociali in cui prendono forma.
Leggi tutto l’articolo su Scribd
Leggi su Scribd la Collection degli articoli de La Civetta N. 4/2010
La rivoluzione informatica
Lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie informatiche ha rivoluzionato e sta rivoluzionando ogni contesto della vita sociale. Non a caso quella informatica è stata definita la terza grande rivoluzione, dopo quella agricola e quella industriale. Una rivoluzione che si è andata diffondendo a una velocità che storicamente non ha eguali: la società industriale ha impiegato circa un secolo e mezzo per affermarsi su scala globale; la società informatizzata solo un trentennio. Considerando i mezzi di comunicazione dell’età moderna ? telefono e televisione ? in prospettiva internazionale, essi hanno impiegato per raggiungere la quota di 50 milioni di utilizzatori rispettivamente 75 e 13 anni, mentre internet ne ha impiegati solo 4. Oggi, si possono definire le generazioni nate tra il 1985 e il 1990 come i “nativi digitali”. Bambini che sono cresciuti con e nelle tecnologie, ragazzi che oggi le padroneggiano.
Come ogni rivoluzione anche quella informatica ha i suoi oppositori e sostenitori: “catastrofisti” e “entusiasti”. Per i primi essa costituisce un’ulteriore inaridimento, semplificazione e mercificazione della conoscenza e produce un degrado delle facoltà cognitive degli individui; per i secondi, al contrario, un’eccezionale e inedita opportunità per la loro espansione, arricchimento, accessibilità e un nuovo modo di sviluppare le capacità mentali. D’altra parte gli atteggiamenti di rifiuto ideologico delle innovazioni nel campo della conoscenza sono tutt’altro che nuovi. Platone nel Fedro denunciava che la scrittura avrebbe ucciso la memoria, perché permetteva di evitare lo sforzo di tenere a mente le conoscenze e così non scorgeva le potenzialità di sviluppo, accumulazione, diffusione e utilizzo della conoscenza stessa che la scrittura consentiva.
Le posizioni dicotomiche ci permettono di vedere le facce opposte di un fenomeno, ma producono anche semplificazioni eccessive che intrappolano il fenomeno in un letto di Procuste, con prese di posizione ideologiche spesso poco realistiche. Le tecnologie non sono fenomeni oggettivi che producono deterministicamente certe conseguenze, ma fenomeni socialmente mediati che producono effetti socialmente costruiti. Esse di per sé non sono né buone, né cattive (si pensi alla dinamite di Nobel), ma dipendono dai contesti, modi e finalità sociali del loro uso. Fatto banale, ma evidentemente non così scontato.
Disuguaglianze digitali
Uno degli argomenti preferiti degli entusiasti è che le tecnologie informatiche non solo sono divenute accessibili a tutti, dati i bassi costi, ma soprattutto che esse permettono una diffusione quasi universale di conoscenze e informazioni. In questo senso democratizzano l’accesso e l’uso della conoscenza. Vero, ma negli stretti termini di una promessa. Le possibilità di accesso, diffusione e uso di conoscenze per via informatica è strettamente correlato alle condizioni sociali in cui ciò può effettivamente avvenire. Queste condizioni danno luogo alle diverse forme di digital divide, cioè le disuguaglianze sociali di accesso e uso delle nuove tecnologie.
Un primo divario riguarda i paesi. A fronte della retorica entusiastica che vede le nuove tecnologie come un fenomeno globale, la ricerca ha mostrato come esse siano globali solo per una porzione del mondo, quello più sviluppato. Le popolazioni dell’Africa e di gran parte dell’Asia sono in larghissima parte tagliate fuori dal circuito globale della conoscenza a causa della mancanza di infrastrutture e mezzi e delle condizioni di vita che certo non hanno come priorità l’avere un pc e internet. Vi sono poi paesi in cui il controllo politico delle tecnologie informatiche impedisce un loro libero uso. Anche all’interno dei paesi sviluppati vi sono porzioni di territorio e popolazione in cui internet e le nuove tecnologie sono scarsamente diffuse.
Un secondo divide riguarda la qualità dei mezzi e dell’infrastruttura che li sostiene a cui gli individui possono accedere e che possono usare. Ciò in parte dipende dalle politiche pubbliche degli stati e da quelle commerciali delle grandi corporations dell’informatica e, in parte dalla dotazione di capitale economico delle persone.
Un terzo divario, solo di recente messo a fuoco, riguarda l’uso che si fa di queste tecnologie. Questo divario è cruciale. Anche supponendo che tutti possano accedere alle migliori tecnologie e alla migliore infrastruttura, nell’uso che se ne fa entra in gioco il capitale culturale che è distribuito in modo diseguale tra la popolazione. Il capitale culturale non è dato solo dal livello di scolarità, ma da tutto un insieme di disposizioni e predisposizioni verso certi stili di vita, atteggiamenti, gusti e visioni del mondo che caratterizza le diverse classi sociali e che viene trasmesso nelle e dalle famiglie ai propri figli. Le nuove tecnologie non sono esenti da questi condizionamenti. C’è una bella differenza tra l’usare internet per giocare a videogochi, per “vivere” in universi sintetici, per chattare su Facebook e usarlo per informarsi, per fare ricerche, per approfondire le proprie conoscenze. Queste differenze sono socialmente fondate sui differenziali di capitale culturale tra le classi. La tecnologia può far poco al riguardo. Anzi, essa diventa un ulteriore mezzo di riproduzione e rafforzamento di quelle differenze, generando un “effetto San Matteo”.
Insomma, le varie forme di digital divide ci dicono che essere nativi digitali non significa esserlo tutti allo stesso modo e realizzare tutti le potenzialità che le tecnologie permettono.
Computer e istruzione
L’istruzione è stata investita dalla rivoluzione digitale sotto diversi aspetti. A essa è stato attribuito il compito di sviluppare la media literacy fin dalla prima infanzia, di migliorare la qualità della didattica e di innovarne le modalità attraverso l’uso del computer, di insegnare a bambini e giovani a muoversi nel mare magnum dell’ambiente virtuale.
L’argomento preferito dai catastrofisti è che una scuola informatizzata non può che generare uno scadimento delle facoltà cognitive, delle capacità espressive e dell’apprendimento degli alunni e della didattica in generale. Vero, ma negli stretti termini di un punto di vista platonico, cioè della supremazia della tradizione sull’innovazione.
Le nuove tecnologie permetterebbero di cambiare tanto il curricolo quanto le modalità didattiche. Il curricolo potrebbe svilupparsi in forme di una maggior integrazione tra materie quasi sempre separate (è il cosiddetto curricolo “ad alveare”), permettendo di sviluppare nuovi punti di vista inter e multidisciplinari su argomenti trattati da diverse materie. La didattica potrebbe essere cambiata in senso più partecipativo e costruttivista, dove l’insegnante non è il depositario del sapere che comunica a senso unico ex-cattedra, ma un facilitatore e una guida di percorsi di apprendimento plurali, collettivi e multidimensionali. Non solo, ma tra i docenti si potrebbe sviluppare, in parallelo al curricolo integrato, il team teaching che supera la divisione burocratica e disciplinare del docente unico e della lezione chiusa per ciascuna materia.
Tuttavia, anche qui vi sono limiti. Al di là delle resistenze di una consistente parte dei docenti verso le innovazioni didattiche, essi riguardano le competenze informatiche degli insegnanti, la scarsità di occasioni di formazione per la didattica mediata dal computer, le diverse dotazioni di mezzi e infrastrutture informatiche delle scuole (dipendenti spesso dal territorio in cui esse sono collocate), le politiche pubbliche per l’istruzione. Anche in questo caso emergono forme di digital divide che riguardano le scuole e gli insegnanti e gli effetti sociali che esse producono sull’insegnamento e sugli apprendimenti. E anche in questo caso, i nativi digitali potranno andare incontro a disuguaglianze relative all’apprendimento dell’uso delle tecnologie e alle capacità di orientamento per navigare nell’oceano dell’informazione della conoscenza digitale.
Letture di approfondimento
R. Grimaldi (a cura di): Disuguaglianze digitali nella scuola, Milano, Franco Angeli, 2006
M. Ingrosso (a cura di): Nuove tecnologie nella scuola dell’autonomia: immagini, retoriche, pratiche, Milano Franco Angeli, 2004
L. Sartori: Il divario digitale, Bologna, Il Mulino, 2006