Madre-Inquieta

Quando e per quale misteriosa alchimia la donna è caduta nella trappola del dover diventare una super-madre, senza combinarne più una giusta? Super-efficiente e competitiva sul lavoro, super-sportiva ma al contempo elegante, super-cuoca ma perennemente, istericamente a dieta?

 Ilaria Caprioglio

Perché i minori non sono perseguibili?

Può la Festa dell’Inquietudine essere fonte di ulteriore inquietudine per una madre  naturalmente inquieta? La risposta è senz’altro affermativa se la madre in questione veleggia verso i quaranta, considera le ventenni ancora sue coetanee e, soprattutto, “possiede” tre figli, rispettivamente di nove, cinque e due anni, che formano una ben collaudata associazione per delinquere. L’ultimo reato, del quale si sono macchiati i pargoli, è stato quello di non concedere alla genitrice una rinfrancante full immersion negli antichi Chiostri di Santa Caterina.

L’impedimento merita una riflessione, al fine di comprendere quale sia stata la casella che l’ha costretta al punto in cui ora si ritrova: ferma, in una ipotetica partita a Monopoli, a saltare uno o più giri. Ha trascorso i tre quarti della sua vita a studiare, liceo, università, esame di stato ma, da quando è diventata madre, ha iniziato ad annaspare, senza decoro, nel mare magnum dell’inesperienza.

Aiuto! La creatura non ha allegato il foglio delle istruzioni…

Dimessa dall’ospedale, con la prima creatura fra le braccia, ma sprovvista del foglio contenente le istruzioni per il suo corretto utilizzo, la donna “razionale” ed “istruita” si rigetta a capofitto sui manuali, assetata di sapere. Riposa ancora sul suo comodino “Avere o essere” di Erich Fromm e già vi impila sopra il libro della Leche League (esiste una Lega del Latte internazionale!) a sostegno dell’allattamento al seno ma, soprattutto, dedica i suoi sforzi ad un classico del settore: “Le madri non sbagliano mai” di Giovanni Bollea. Acquistandolo l’incauta donna si era immaginata, tratta in inganno dal titolo, un pamphlet fra l’ironico ed il serioso ma quando, fin dalle prime pagine, legge che “educare deriva da educere cioè guidare senza soffocare” e che “una madre capace di armonizzare l’istinto materno con alcune forme di tradizione familiare e con certe nozioni culturali sia una madre che non sbaglia mai” si sorprende a chiudere con un sussulto il libello, mentre un senso di inadeguatezza la assale. Non vuole, però, darsi per vinta, sopraffatta da qualche frase che ha minato per un istante le sue certezze, gettandola nel panico. A quel punto, chiamando a raccolta i suoi neuroni e sperando di snebbiare il cervello, desolatamente fuori servizio per le troppe ore sottratte al riposo e dedicate al nuovo, esaltante ruolo di giovenca (perché quello è e sarà per svariati mesi), si interroga su come riuscirà, in futuro, a discernere fra comportamenti “autoritari” e “autorevoli”, la chiave di volta, secondo i pedagogisti, dell’intera educazione dei figli.

“Li hai messi al mondo non c’è più rimedio” (parafrasando Beckett)

E’, tuttavia, troppo tardi, una nuova forma di inquietudine si è impossessata della sventurata, archiviata quella adolescenziale, quella mistica, quella esistenziale eccola soggiogata dall’inquietudine materna, consapevole che quest’ultima la accompagnerà usque ad mortem. A tratti opprimente e sempre a crescita costante, come insegna quel vecchio adagio “figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi” che le donne-nonne, non senza una punta di perfidia (una qualità tutta coniugata al femminile) amano ripeterle nei momenti di maggiore vertigine. I momenti di vertigine li affronta da quando si sveglia e, archiviati i pensieri profondi su come aiutare la prole a crescere consapevole, sensibile, sicura, inizia a correre: casa, scuola elementare, scuola materna, asilo nido e poi ufficio, supermercato ed ancora casa (dopo essersi, non così ovviamente, ricordata di riprendere i pargoli).

E subito si affaccia il pomeriggio, quello spazio temporale durante il quale la madre-inquieta, cresciuta durante i vuoti ed edonistici anni ottanta, offre il peggio di sé, ormai in pieno stato confusionale. Dalle quindici fino alle diciannove di sera, deraglia dai binari del buonsenso, sui quali viaggiavano, imperturbabili, le sagge neo nonne, alle quali la società  richiedeva di essere semplicemente e naturalmente madri. Quando e per quale misteriosa alchimia la donna è caduta nella trappola del dover diventare una super-madre, senza combinarne più una giusta? Super-efficiente e competitiva sul lavoro, super-sportiva ma al contempo elegante, super-cuoca ma perennemente, istericamente a dieta? Insomma tutto e il contrario di tutto, cioè il nulla come meravigliosamente tratteggia in un suo libro la De Beauvoir: figlia confusa e priva di ideali la ragazza dans le vent “ha un vago mestiere, fa finta di coltivarsi, di fare sport, si veste bene, tiene impeccabile la casa, alleva i bambini in modo perfetto, fa vita mondana, deve riuscire su tutti i piani e non tiene realmente a niente”.

Perché le super-madri non sono perseguibili per i danni perpetrati nei confronti dei figli?

Ma la madre-inquieta non ha tempo per soffermarsi su simili sciocchezze, ha una missione da portare a termine: affrontare con profitto, se il suo o quello dei figli non è lecito sapere, quelle quattro ore pomeridiane. Quindi agghinda i malcapitati, considerati accessori alla stregua dell’ultima borsa firmata ed esce, ma non diretta al parco, dove i bambini potrebbero giocare e sporcarsi liberamente. La madre-inquieta, avendo a cuore il loro futuro, li traghetta al corso di inglese senza, però, badare all’italiano che perfezionano con la collaboratrice domestica filippina o ucraina o marocchina alla quale occasionalmente, ma non troppo, li affida per improrogabili impegni di lavoro. La madre-inquieta li conduce, sempre senza il loro consenso, anche ad un corso di pianoforte o chitarra o cornamusa, canto e recitazione: li frequentano i figli delle sue inquiete coetanee, perché i suoi cuccioli dovrebbero restare indietro, percependosi diversi? Perché non dovrebbero sciare anche loro nella tormenta di neve, dall’alba al tramonto, con lo sci-club più competitivo, perché non dovrebbero regattare con l’optimist fra i flutti di un mare forza sette per poi scuffiare divertiti?!? Se, poi, all’inopportuna domanda di qualche altra madre-inquieta: “Cosa fa tuo figlio?” arriva la più sensata delle risposte: “Fa il bambino, cioè gioca!”, un nuovo tipo di inquietudine prende forma, quella di aver sbagliato irrimediabilmente tutto, di essere stata travolta da un dilagante conformismo iper-attivo. Allora tira fuori dall’armadio le scatole di Lego, rispolvera la Barbie (quella più sostenibile, di ultima generazione, con meno seno e più sedere per non scatenare le crisi bulimico-anoressiche di cui lei stessa, in passato, era stata vittima) e si mette carponi sul pavimento a giocare con i suoi figli, finalmente serena in quanto, forse, sta facendo la cosa giusta. Ma è, comunque, immancabilmente, irrimediabilmente inquieta poiché in quel momento potrebbe trovarsi in studio a scrivere la sua più completa ed illuminata comparsa di costituzione o l’articolo più brillante della sua carriera ed, invece, è lì a pettinare la bambola, litigando con la figlia per l’acconciatura, incapace di costruire, per gli altri due, la portaerei di mattoncini rossi e gialli che le hanno commissionato.  Intanto declina il giorno e mentre scola la pasta per la cena (al burro, no al ragù, no al pesto) si sorprende a riflettere, un po’ inquieta, che forse sì, forse no era quello che si era immaginata avesse in serbo per lei il futuro.

Lui che è diventato padre dicendoti semplicemente “Spingi cara, sta uscendo”…

Poi il filo dei pensieri si spezza, rincasa l’imperturbabile marito e si stupisce della sua stanchezza, dei dubbi che le affiorano alla mente per le scelte, le inevitabili rinunce, lui che per essere padre ha sacrificato poco o niente (escludendo la partita a calcetto con gli amici, of course): ma questi discorsi, dal vago sapore femminista, non sono di sua competenza, li hanno già approfonditi le figlie dei fiori. Lei, al limite, si può identificare in una figlia dei cactus, irta di aculei che, sempre ed inevitabilmente, feriranno qualcuno. Ma il lieto fine è scritto anche per lei e quando, calata la sera, rimbocca le coperte ai bimbi ormai addormentati, i loro visi dolci ed innocui, la confortano, suggerendole come la scelta sia stata quella giusta e sprofonda in un accogliente sensazione di benessere. Questione di un attimo, però, e già il pensiero indomito corre a quei letti vuoti, a lei che ansiosa, mentre il marito-guerriero-lavoratore russerà sereno, li aspetterà di ritorno dalla discoteca, scampati alla droga, alle bevande alcoliche, agli incidenti stradali. Fortunatamente la stanchezza della giornata la ghermisce, mentre ancora si immagina come l’Arciere immobile, descritto da Gibran ne “Il Profeta” che scocca le sue frecce vive, i figli, lontano da sé, vedendo il bersaglio sul sentiero infinito: lei dovrebbe essere l’arciere inquietamente immobile…un bell’ossimoro!

Una Festa dell’Inquietudine a una madre inquieta non si dovrebbe negare: mai!

Tornando alla Festa dell’Inquietudine, l’esausta madre spera, anzi ormai sogna, che il prossimo anno il suo primogenito non debba studiare per l’interrogazione di fine quadrimestre, il suo secondogenito non abbia l’ennesima festa di compleanno (unici eventi mondani ormai presenti nella vita della donna) e la sua terza e ultimogenita (ormai è resipiscente) non abbia contratto una delle poche malattie esantematiche contro le quali non l’ha sottoposta a vaccinazione. Desidera intensamente che si verifichi questa miracolosa congiunzione astrale per incontrare, a maggio del 2009, il signor Toscani e, finalmente, chiedergli perché, circa vent’anni fa, preferì a lei un’altra modella per la campagna pubblicitaria, con annesso finto pancione, della Prenatal. E, magari, farsi spiegare dal signor Crepet se, l’avere successivamente desiderato tre figli, possa in qualche modo ricollegarsi a quella cocente delusione. A quel punto, per l’inquietudine da terzipara che la attanaglierà per il resto dei suoi giorni, potrà sempre intentare una causa milionaria, contro l’illustre fotografo, per il danno biologico ed esistenziale occorsole, previa dimostrazione, ovviamente, del nesso di causalità! 

Ilaria Caprioglio e i giovani

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