di Nelly Mazzoni e Silvia Taliente
La proposta S.P.I.A. di quest’anno è un’avventura attraverso uno dei temi più interessanti della ricerca psicoanalitica e richiede al viaggiatore la disponibilità ad esplorare territori tanto affascinanti quanto insidiosi.
Per iniziare domandiamoci che cosa significa procedere verso il futuro: conoscere, ricercare, sviluppare, superare oppure sapere, conservare, assicurare, implementare? In breve, possiamo lasciare ciò che è per fare spazio a ciò che sarà, e possiamo contemplare una fine per favorire un altro inizio?
Opporsi al cambiamento, negare la trasformazione, si presenta come una malattia del nostro tempo; a questo proposito, pensando all’Italia, sembra che il nostro paese tema i propri figli, ne genera così pochi, fino a minare la fonte stessa della propria sopravvivenza culturale, contro ogni legge biologica e antropologica. Talvolta i ragazzi appaiono perfino vittime di un’incuria sociale tanto è scarso l’investimento sulle nuove generazioni.
Domandiamoci ancora se appartiene al futuro lo sforzo di mantenere l’odierno e l’acquisito difendendolo e conservandolo a costo dell’estinzione e dello spreco di ciò che possediamo.
In realtà un futuro così, statico e rigido, soffoca il presente, distrugge la memoria e annienta la speranza. Questo pensare al domani come una negazione del divenire origina una continua lotta contro il nuovo e il diverso, ci costringe dentro spazi angusti e coordinate temporali piatte, insufficienti a contenerci.
Due insidie
La prima insidia da affrontare, dunque, è la palude del ragionamento lineare, fondato su coordinate di spazio-tempo consequenziali, a favore di una logica sincretica: il tentativo di comprendere le bizzarre geografie mentali con un modello riduttivo di geometria piana è del tutto inefficace per rappresentare il nostro complicato oggetto.
Se non rinunciamo alla linearità, non possiamo osservare un fenomeno quasi paradossale, cioè comprendere che il concetto di futuro è strettamente intrecciato con il concetto di passato e presente: tutto in un contenitore, la nostra mente, dove in un continuo dipanarsi e ricostruirsi si delinea quel che sarà, sovrapposto e mescolato con quello che avrebbe potuto essere, e quello che ‘vorrei’ che fosse. Ed ecco un’altra insidia, sta in quel ‘vorrei’, nel desiderio. Il desiderio è fatto di emozione, di tante emozioni anche contrastanti che interferiscono nelle scelte da cui si origina il cambiamento, cioè il futuro.
Come rappresento un’emozione, un desiderio, un cambiamento utilizzando solo le coordinate di spazio-tempo? Certo mi saranno utili per un’osservazione, diciamo, storica, per mettere in ordine cronologico gli eventi, ma ne risulterà la stesura finale di un racconto, qualcosa di saturo, quasi oggettivo: un’operazione che svolgo nel presente, esaminando il passato.
I futuri che sono dentro di noi
Però, se il mio racconto vuole essere vivo, soggettivo e rappresentarmi deve poter descrivere molto di più, ampliarsi per contenere le emozioni e per assumere la tridimensionalità della mente. Deve contenere tutti i possibili futuri che sono depositati dentro di me e che potranno prendere vita a condizione che il mio desiderio di cambiamento sia capace di accettare l’esito del processo: la trasformazione, frutto della relazione generativa con essi. Questo processo richiede di tollerare il tempo dell’attesa affinché la trasformazione si compia, un tempo talvolta doloroso in cui la mente, non percependo il proprio lavoro, si sente ferma e teme il fallimento.
Un autore che ci è molto caro, Wilfred Bion, introdusse nelle sue riflessioni teoriche il concetto di ‘mente estesa ’ per descrivere la complessità in cui la mente lavora, la sua capacità, attraverso il pensiero, di estendersi oltre il limite spaziale della propria anatomia e di estendersi temporalmente nella concezione di presente come contenitore del passato e del futuro. Bion osserva che – se il passato può essere dimenticato e il futuro talvolta temuto, in quanto ignoto – passato e futuro sono profonde esperienze del presente, in cui vivono le emozioni e avvengono i cambiamenti.
Due aperitivi, la Sala dell’Antico Futuro e … l’ironia
Per questo viaggio della mente S.P.I.A. quest’ anno propone due percorsi di esplorazione, più interconnessi di quanto non appaia a prima vista, al fine di pensare sì, ma sempre a mo’ di stuzzichino, un aperitivo leggero e immediatamente godibile, perché, si sa, il futuro inquieta.
La prima proposta riguarda due aperitivi sul tema del futuro, la seconda,invece, offre al pubblico la possibilità di esperire in prima persona che cosa significa possedere i propri futuri dentro di sé, comprendere quanta parte ha ognuno nel dirigere l’evoluzione della propria vita.
Una competenza che ci riconosciamo è quella di non prenderci troppo sul serio, si sa gli psicologi hanno la pericolosa tendenza ad essere “bacchettoni”, cosi la provocazione di S.P.I.A. è l’invito ad esplorare ciò che ognuno di noi possiede dentro di sé, attraverso l’ introspezione, con l’ausilio degli antichi strumenti divinatori.
L’idea di offrire al pubblico questo spazio di incontro è nata con l’ironia e il gusto di condividere un antico interesse, non solo professionale, per culture distanti. Con l’I King, l’Oroscopo Maya, i Tarocchi e la Scrittura Intuitiva, una psicologa, una filosofa, un medico e una scrittrice guideranno chi lo vorrà a lanciare uno sguardo …….al futuro.