Alberto Peri
Viviamo in un’epoca di eccessi e l’economia non si sottrae a tale dogma. Le risorse naturali non sono né gratuite né, soprattutto, inesauribili. In passato eminenti economisti del MIT di Boston avevano sviluppato un modello di crescita che tenesse conto dei limiti derivanti dalla scarsa disponibilità delle risorse naturali. Oggi diversi studiosi e movimenti propongono delle forme di sviluppo economico alternative che si prefiggono quale fine ultimo non già l’incremento esponenziale della produzione, ma l’individuo, il benessere della collettività ed il futuro del genere umano. Non è ragionevole ritenere di poter continuare a vivere in un’economia che trae la propria ragion d’essere nella crescita illimitata nella produzione di “un’infinità di cose materiali alle quali non viene conferito il giusto senso o il giusto significato.”
Il limite del capitalismo
La moderna società “occidentalizzata”, basata sulla filosofia del capitalismo, fonda i suoi presupposti sui principi di una crescita economica illimitata. Con l’introduzione di concetti quali la deregolamentazione e la globalizzazione, sono stati abbattuti i precedenti limiti di mercato e si è passati a una forma di “turbo-capitalismo” che ha portato alla recente crisi economica. Nonostante questa esperienza, i governi e le istituzioni (da ultimo il summit sull’ambiente di Copenhagen) non hanno apportato alcun correttivo di fondo al sistema, ritenendo basti emendare gli “eccessi” di questi ultimi anni per rimettere in cammino la macchina in buone condizioni. La caratteristica del sistema capitalistico, infatti, consiste nell’essere condannato, per natura, a una perpetua fuga in avanti che considera ogni limite come un ostacolo da sopprimere. Ma il problema è che non può esserci una crescita infinita in uno spazio finito, dove le risorse naturali non sono né gratuite né, soprattutto, inesauribili.
Il Rapporto sui limiti dello sviluppo
Circa 40 anni fa, un italiano, Aurelio Peccei (“I limiti dello sviluppo 35 anni dopo” di Pietro Cambi, crisis.blogosfere), fondatore della Fiat Argentina ed ex amministratore delegato della Olivetti, ragionando sullo sviluppo tumultuoso di cui egli stesso era stato protagonista, aveva dato sfogo alla propria inquietudine, ponendosi la domanda: “Questo sviluppo potrà continuare all’infinito? Sarà concepibile un sistema economico che garantisca un benessere sufficiente alla larga maggioranza della popolazione mondiale senza dover, per questo, depauperare tutto il pianeta? Dove porterà il trend di crescita esponenziale che già si sta manifestando in tutta la sua potenza?” Peccei decise, quindi, di finanziare le ricerche di un gruppo di scienziati del MIT di Boston.
Il risultato fu il cosiddetto Rapporto sui limiti dello sviluppo, pubblicato nel 1972, un documento che basandosi su simulazioni al computer, determinava le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre, giungendo alla conclusione che, se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse fosse continuato inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta sarebbero stati raggiunti in un momento imprecisato entro i successivi cento anni, con il risultato di un declino improvviso e incontrollabile della popolazione e della capacità industriale. In un recente studio del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) Australiano, intitolato “Un paragone tra i I limiti dello sviluppo e 30 anni di dati reali” sono stati confrontati i dati degli ultimi 30 anni con le previsioni effettuate nel 1972, concludendo che i mutamenti nella produzione industriale e agricola, nella popolazione e nell’inquinamento effettivamente avvenuti sono coerenti con le previsioni del 1972 di un collasso economico nel XXI secolo. E’ opportuno evidenziare che le previsioni catastrofiche del Rapporto, tuttavia, non si sono avverate: vi si prevedeva, infatti, l’esaurimento di gran parte delle riserve di petrolio entro il 2000, trascurando l’ipotesi di nuove scoperte (fonti energetiche rinnovabili e energia nucleare). Lo studio ha, comunque, il merito di aver introdotto il concetto di “limite” nello sviluppo economico e l’uso delle fonti energetiche alternative a quelle fossili.
Nuovi modelli di sviluppo
La presa di coscienza che le risorse naturali sono scarse ed esauribili ha portato gli economisti a interrogarsi sui limiti dello sviluppo. Secondo i teorici dello sviluppo sostenibile e del movimento per la decrescita, la crescita economica viene anche definita come una distorsione dell’ideologia capitalista che vede, nella corsa all’accumulazione e alla produzione, una finalità che trascura i limiti dello sviluppo dettati dalla povertà, dalla diffusione delle malattie e dal depauperamento continuo delle risorse del pianeta che arriverebbero a intaccare il normale funzionamento dell’economia capitalistica, con un conseguente stallo generale del sistema. Lo sviluppo sostenibile (www.ecoage.it) è una forma di crescita che non compromette la possibilità delle future generazioni di continuare nell’espansione, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali esauribili. Il suo obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale. Questo modello si contrappone a quello di sviluppo tradizionale che si caratterizza per il rapporto di correlazione inversa con l’ambiente naturale, che aveva accompagnato, razionalmente, la storia dell’uomo fin dagli albori. Lo sviluppo tradizionale ha progressivamente ridotto il “capitale naturale” trasformandolo in sviluppo economico. Questo processo può essere attenuato dalle innovazioni tecnologiche senza, tuttavia, intaccare il problema della scarsità delle risorse.
La teoria della decrescita
Il concetto di sviluppo sostenibile è aspramente criticato dai movimenti facenti capo alla teoria della Decrescita (www.perlaterra.org) che ritengono impossibile pensare a uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione di beni che sia anche in sintonia con la preservazione dell’ambiente. In particolare, criticano i comportamenti delle società occidentali che, perseguendo l’accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili -il Prodotto Interno Lordo-, si trovano ora di fronte al paradossale problema di dover consumare più del necessario pur di non scalfire la crescita dell’economia di mercato, aumentando i problemi ambientali legati al sovrasfruttamento delle risorse naturali e all’aumento dei rifiuti.
Altre forme di ricchezza sociale
La ricchezza prodotta dai sistemi economici non consiste soltanto in beni e servizi, ma esistono altre forme di ricchezza sociale, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni. In definitiva la Decrescita non mira a diminuire il benessere delle persone, ma al contrario si propone di migliorarlo accrescendo la qualità di vita dell’individuo, tentando di ridurre la dipendenza delle persone dall’economia, rendendole, sostanzialmente, più libere e autosufficienti.
La scarsa disponibilità delle risorse naturali costituisce sicuramente il limite che l’economia del XXI secolo dovrà affrontare. In quest’ottica, la necessità di riportare lo sviluppo verso binari più rispettosi dell’ambiente richiederà un cambiamento strutturale dell’intera società e dell’ideologia che la sorregge, riportando di attualità quei valori etici che il capitalismo ha soppiantato in favore della corsa all’accumulo di ricchezza. Parafrasando Erich Fromm sarà necessario tornare ad apprezzare il valore dell’essere piuttosto che quello dell’avere, per non dover “più compensare la povertà spirituale con l’accumulo di un’infinità di cose materiali alle quali non viene conferito il giusto senso o il giusto significato” (D. De Masi “Il futuro del lavoro”, edizioni BUR).