La giustizia non è un valore assoluto

Quando era magistrato Milano, dal 1975 al 2005, Gherardo Colombo ha condotto o collaborato a celebri inchieste fra le lequali la scoperta della Loggia P2, il delitto Ambrosoli, Mani Pulite, il Lodo Mondadori. È stato giudice di Cassazione e oggi è presidente della casa editrice Garzanti. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo Il vizio della memoria (Feltrinelli, 1996), Sulle regole (Feltrinelli 2008), Democrazia (Bollati Boringhieri, 2011), Farla franca. La legge è uguale per tutti? (Longanesi, 2012), Il perdono responsabile (Ponte alle Grazie, 2013).

A cura di Ilaria Caprioglio

L’avvocato Giorgio Ambrosoli, protagonista di una brutta pagina di storia italiana che aveva cercato di contrastare con i suoi valori di libertà, onestà e responsabilità, è stato definito un eroe borghese.

Per quale motivo, secondo Lei, la coscienza collettiva non ha tratto insegnamento da questi modelli e oggi, come trentacinque anni fa, l’Italia continua ad aver bisogno di simili eroi?
Ritengo non si siano tratti insegnamenti dal comportamento e dal modo di intendere le relazioni di Ambrosoli in quanto le persone vengono educate ad altro. Noi nasciamo privi di conoscenze che, successivamente, ci creiamo attraverso le esperienze: modelliamo la nostra scala di valori osservando il comportamento di coloro che assumiamo come punti di riferimento.
Generalmente al di là delle parole, che sovente esprimono il contrario, questi comportamenti sono improntati all’idea che il principio informatore di tutto sia il vantaggio immediato per sé stessi, consistente nell’accrescere il proprio potere rispetto agli altri. La definizione “eroe borghese” evidenzia l’antinomia fra l’essere eroe e l’essere borghese, sottolineando la normalità del comportamento che Ambrosoli aveva tenuto senza porsi delle domande in quanto per lui era normale seguire le regole e fare il suo volere: non utilizzo espressamente la parola dovere poiché, rimandando a un’imposizione o a una auto-imposizione, contiene insita un’accezione negativa.

Il filo conduttore di questo numero de La Civetta è il concetto di infedeltà, declinabile in molteplici modi. Con Lei vorremmo ragionare sull’infedeltà rispetto ai giuramenti prestati alle Istituzioni e sull’infedeltà politica degli eletti verso il partito e verso gli elettori.
È un argomento problematico in quanto tendiamo a valutare come infedeltà anche una nuova coerenza. Talvolta si
tratta smaccatamente di infedeltà, come è ravvisabile nella condotta del funzionario pubblico corrotto che viola un giuramento per un interesse personale.
In questo caso si possono configurare due tipi di egoismi: quello finalizzato al desiderio di potere e quello finalizzato a
conseguire una vita armonica. Ma può accadere che l’infedeltà derivi da una mancanza di coerenza rispetto al nostro Io precedente o da una mutazione delle circostanze: un magistrato che ha prestato giuramento sarebbe daconsiderare infedele se davanti a una legge ingiusta avesse dei dubbi o cercasse di trovare il modo per farla cambiare?
L’infedeltà consiste nella rottura della relazione, non sussiste l’infedeltà finché si sta dentro la relazione.

Gli ex detenuti sono, sovente, considerati vite bruciate dal crimine e irrecuperabili: ghettizzati in quartieri come quello di Caivano, alle porte di Napoli, o reinseriti nel tessuto sociale com’è emerso nelle recenti inchieste di Roma ma pronti, in entrambi i casi, a reiterare i loro reati. Esiste, secondo Lei, una strada percorribile per attuare un’opera di riqualificazione umana?
Le persone si recuperano solo se diventano consapevoli degli effetti che il loro comportamento ha prodotto sugli altri, se imparano a discernereil bene dal male. Anche in questo caso il male consiste nella rottura della relazione, nella sua negazione: non si tratta di dissentire dall’altro ma di non rispettare la sua dignità.
La detenzione è inutile e addirittura dannosa in quanto crea un’ulteriore frattura nella relazione: non si può rispondere al male con il male se l’obiettivo è perseguire il bene. La via da percorrere passa attraverso la comprensione in quanto, sovente, chi nuoce a un’altra persona non ha la percezione del male che ha inflitto: è fondamentale, invece, giunga a tale consapevolezza.

Lei è impegnato nel progetto Sulle regole finalizzato, attraverso incontri con studenti di tutta Italia, all’educazione alla legalità nelle scuole. Come si possono educare i giovani ai tempi di Internet che ha permesso il dilagare del cyberbullismo, dello stalking, del grooming, per citare solo alcuni dei reati che si commettono online?
Credo che i ragazzi usino impropriamente questo strumento digitale in quanto gli adulti trasmettono loro, inconsapevolmente, la convinzione che lo possono fare. È un discorso di carattere generale: i nostri punti di riferimento, tendenzialmente, si identificano in quei valori che consentono la sopraffazione nei confronti degli altri, basta riflettere su come la famiglia vive le relazioni al suo interno. Sovente si tratta di relazioni negative dove i genitori insegnano ai figli a prevalere sul prossimo: Internet è solamente un terribile amplificatore della realtà.

In una recente intervista Lei ha dichiarato che la giustizia non è un valore assoluto: cosa intende con questa “affermazione inquieta”?
Il senso di giustizia oggi in Occidente non è lo stesso presente attualmente in altre società, e nello stesso Occidente, per dire, esistono stati che prevedono la pena di morte e stati che non lo fanno. L’odierno senso di giustizia a Milano non è quello che si percepiva nella Milano del 1500. Noi siamo un Paese di matrice cattolica: proviamo, dunque, a riflettere sulla differenza che esiste, sotto il profilo della ricerca del nocciolo della parola giustizia, fra la Messa preconciliare e quella postconciliare: prima era scritto
“Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti” dopo “Santo, Santo, Santo è il Signore Dio dell’universo”, prima
“Questo è il calice del mio Sangue (…) versato per voi e per molti” dopo “Questo è il calice del mio Sangue (…) versato per voi e per tutti”. Non è una differenza clamorosa sotto il profilo della giustizia?
Quest’ultima non è un valore assoluto in quanto il contenuto della parola varia a seconda dei luoghi e del tempo.

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