Graziella Arazzi
Darwin inquieto? Come verificare e misurare la sua inquietudine? Quali sono gli indicatori per intercettarla e dove scovarli? Forse nei territori marginali e periferici che circondano e anticipano, per molti aspetti, la trama definitiva della teoria dell’evoluzione per selezione naturale. L’Origine delle specie (1859) è preparata da un contesto magmatico, ricco di fermenti, in cui l’energia della scoperta scientifica si affianca al processo inventivo, trovando espressione in una curiosità chiara, senza fronzoli e tuttavia in grado di alimentare l’immaginazione dei lettori.
Le opere giovanili di Darwin
Quando, non ancora trentenne, nel 1836, intraprende il viaggio intorno al mondo, Darwin sceglie come supporto e sostegno delle sue riflessioni la scrittura diaristica e il disegno. Fin qui nulla di strano o di diverso dalla tradizione memorialistica del passato. Quello che cambia è lo scenario e la prospettiva delle pagine vergate in tutta fretta. I Taccuini, redatti tra il 1836 e il 1844, mai pubblicati e, tuttavia, neppure mai cassati, nonostante il divieto alla moglie di pubblicarli dopo la sua morte, non rappresentano un documento finale o un report di sintesi ma uno strumento che segue e accompagna il percorso tortuoso di Darwin. Ancora legato allo schema induttivo baconiano (che tuttavia propone con una certa dose di ironia) e comunque già proiettato su altri orizzonti, dove esploderà il motore della selezione naturale come causa dei fenomeni evolutivi, lo scienziato ora lancia un flash sulla mutazione per isolamento delle specie ora indugia sul cambiamento improvviso dei viventi.
Darwin tra storia della scienza e metodologia della ricerca
Quattro tipi di inquietudine si guardano e provano, talvolta, a dialogare: l’inquietudine del viaggio; l’orientamento fluido dello scienziato, che oscilla tra legittimazione delle vecchie teorie e coerenza delle nuove intuizioni; la tensione metodologica, pronta ad adottare i modelli dal salto e del discontinuo nell’interpretazione dei cambiamenti naturali ma disposta anche a valutare la fecondità euristica del gradualismo nella lettura dei mutamenti. Infine, ultima, la mobilità di una rappresentazione grafica delle teorie, che privilegia a volte la forma del corallo, altre quella dell’albero, per assumere in definitiva la prima.
Tra osservazioni dei fenomeni, annotazioni da naturalista, indicazioni di cammino, bozze di lettere alle società scientifiche del tempo (dalla Geological Society alla Royal Society), questioni e domande, schizzi e disegni, lo scienziato prende in esame le teorie del passato, le mette a confronto con i comportamenti della natura e con gli schemi che, passo dopo passo, emergono nelle sue riflessioni. Emerge un bazar di rilievi, dilemmi, suggestioni arborescenti, che attraversano svariati campi dei saperi, dalla geografia alla geologia, dalla storia dell’umanità alla chimica, dalla botanica alla zoologia. Il tutto accompagnato da campi di illuminazione dei reperti fossili trovati.
Il giovane Darwin, figlio di un’agiata borghesia inglese, si dimostra capace di accogliere le innumerevoli svolte di un viaggio di cinque anni che non è solo fisico ma anche mentale. Nelle scorribande tra mari, piante e animali degli Oceani, gioca d’azzardo con proposte contrarie, dal catastrofismo di G. Cuvier al fissismo di Ch. Lyell. Un’inquietudine tutta speciale si raccoglie e si concentra intorno al nodo delle trasmutazioni: mutazioni delle specie, mutamenti delle teorie esplicative del mondo e mutamenti del quadro di vita di un brillante ricercatore. Colpisce la modularità dell’itinerario, concreto e teorico ad un tempo, che cresce attraverso appunti, studi sulle barriere coralline e sulle isole vulcaniche e, soprattutto, rivela la potenza concettuale del disegno e dello schizzo.
Teoria dell’evoluzione e modelli epistemologici
I Taccuini 1836-1844, pubblicati nel 2008 – a cura di Telmo Pievani – per Laterza Edizioni, divengono affreschi di bordo, che permettono a Darwin di ricostruire e legittimare i processi della vita. In particolare, il Taccuino B (1837) – definito dai traduttori e dal curatore anche Il corallo della vita – mette in luce come la cinematica del pensiero scientifico creativo si riveli nello schizzo piuttosto che nella frase scritta. La struttura del corallo, figura irregolare, con i suoi intrecci in svariate direzioni, dove esplodono rami divergenti, in cui alcune linee sono continue e altre punteggiate, a significare sia le specie viventi sia quelle estinte, rimarca l’ondulazione di un processo che mira a rifondare il sapere biologico. Netto è il rifiuto dell’ipotesi del continuismo e dell’idea di una trasformazione volontaria e finalistica da parte dei viventi. In poche parole, Lamarck viene buttato alle ortiche: adattamento ed ereditarietà spiegano il dinamismo delle specie. Darwin è certo di ciò ma deve cercare di tradurlo in un modello convincente.
Gli viene incontro la struttura paradossale del corallo, che si manifesta come una sorta di incubatrice del progetto evolutivo, immanente alla natura. A p. 25 del Taccuino B, lo scienziato avverte noi e forse anche se stesso che dovremmo chiamare il tragitto dell’evoluzione, più che albero, corallo della vita, perché l’immagine renderebbe meglio tanto l’irregolarità della ramificazioni tanto la distinzione tra le specie estinte (le parti pietrificate del corallo) e le specie viventi. I cambiamenti repentini, che avvengono in natura e che portano alcune specie a variare, altre a scomparire, non sono rappresentabili o esprimibili con il tratto continuo della scala dei viventi e neanche con la tipologia di un albero ramificato in direzioni prevedibili.
Su tali questioni, Horst Bredekamp, docente di storia dell’arte all’Humboldt Universität di Berlino, nel 2006 ha pubblicato un saggio di frontiera (tr.it: I primi modelli evolutivi e la tradizione della storia naturale, Bollati Boringhieri), sollecitando a ripensare l’inquietudine della modellizzazione in Darwin. Partendo dall’interpretazione di Bredekamp, riusciamo a scorgere nei disegni del Taccuino B una interessante matrice di argomenti sul ruolo dell’isolamento geografico nel mutamento delle specie, sulla priorità della variazione rispetto alla somiglianza morfologica tra viventi, sulla presenza di numerose lacune e strutture incomprensibili nelle trasformazioni della natura.
La selezione naturale in un corallo
Su una strada piena di scoperte e affastellata di ipotesi, che portano Darwin a delineare uno straordinario affresco di oggetti naturali, il disegno del corallo, ventaglio aperto, risponde a una funzione euristica ma anche estetica. Si assiste a una impensabile ripresa della tradizione secentesca delle splendide Gallerie di scienze e arti, dove il corallo, nella sua ambiguità di animale-vegetale-fossile, attraeva i dotti del tempo. Le figure che si biforcano e si slanciano in più direzioni, rendendo visibili gli elementi che scompaiono o sembrano reciprocamente invadersi, non sono derivati del pensiero ma supporti attivi del processo teorico che Darwin sta elaborando. Il corallo presenta la suddivisione delle specie, espone il conflitto e lo sviluppo anarchico della vita, che rifiuta canoni mimetici e valuta invece le differenze. Significativo che le specie estinte, all’interno del modello corallino, non giacciano a terra ma trovino ospitalità in rami verticali, aperti alla spinta della morte.
Darwin e Wallace
L’evoluzione deve tener conto del cambiamento, del polimorfo procedere della vita in infinite direzioni, senza che venga privilegiata una specie sull’altra e senza che intervenga un disegno divino fisso e rigido.
A p. 216 del Taccuino B, lo scienziato lancia un dubbio: “il Creatore ha continuato a creare animali con la stessa struttura generale dai tempi dei tempi? Concezione miserevole e limitata” e oltre – a p. 252 – tronca altre certezze: “quando parliamo degli ordini superiori, dovremmo dire intellettualmente superiori. Ma chi, al cospetto della Terra, ricoperta di splendide savane e foreste, oserebbe dire che l’intelletto è l’unico scopo di questo mondo?”
L’inquieto Darwin, ugualmente critico nei confronti della prospettiva antropocentrica e della monocultura teologica, nel 1858, sorprendentemente ma non troppo, interrompe il laboratorio concettuale che utilizza il disegno del corallo. Perché? Un altro scienziato, Alfred R. Wallace, che ha diffuso con molto successo le sue scoperte, utilizzando la fortunata metafora figurativa della quercia, rischia di rubargli la teoria dell’evoluzione per selezione naturale. A questo punto, inquietudine per inquietudine, Darwin mette in ombra la trama del corallo e si decide a pubblicare l’Origine delle specie, dove la figura del grande albero della vita, più regolare del cespuglio corallino, prende per sempre il sopravvento.