La VI edizione della Festa dell’Inquietudine si aprirà nel ricordo di Enzo Tortora a trent’anni dall’inizio della sua clamorosa vicenda giudiziaria e venticinque anni dopo la sua morte. L’incontro sarà realizzato in collaborazione con il Centro Pannunzio al cui Direttore abbiamo chiesto di tratteggiare la figura del grandissimo Inquieto a cui vogliamo rendere omaggio.
Di Pier Franco Quaglieni
Enzo Tortora è una figura complessa che merita di essere rivisitata a trent’anni dall’arresto clamoroso e a venticinque anni dalla morte. Si può dire che sia stato anche lui un grande “inquieto” perché chi ama la sua indipendenza ed esercita il suo spirito critico non può che essere un inquieto. Norberto Bobbio scrisse che compito dell’uomo di cultura è più quello di sollevare dei dubbi che raccogliere delle certezze più o meno inossidabili e l’operato di Tortora certo ci testimonia l’esattezza di questa tesi.
Fu per ben due volte licenziato dalla Rai per motivi di censura, subì con grande dignità un processo che voleva infangare la sua figura di persona perbene, dando credito a volgari delinquenti, eletto con 500mila voti al Parlamento europeo come indipendente con il PR, non esitò a dimettersi, quando venne condannato ingiustamente a Napoli a dieci anni di carcere. Il suo caso suscitò una violenta rivolta morale e politica da parte dell’opinione pubblica contro i giudici che lo condannarono dando ascolto ai falsi pentiti, ma offrì anche il destro per una campagna delegittimatrice e denigratoria nei confronti della Magistratura, facendo dimenticare ai più, ad esempio, che furono proprio altri giudici, in seconda istanza, a riconoscerne l’innocenza. Allora venne promosso un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati e il voto favorevole dei cittadini non trovò mai attuazione, anche se il referendum non era certo lo strumento più idoneo per affrontare una materia tanto delicata. Se escludiamo il suo primo difensore, l’avvocato Alfredo Biondi, che dovette lasciare la difesa in quanto divenne ministro, il partito liberale di cui Enzo era consigliere nazionale con pochi altri intellettuali liberali da Chiara a Lauzi, nei confronti di Tortora si comportò con una viltà che certo disonorò il partito ingiustamente in questo caso erede del Risorgimento che abbandonò totalmente Tortora, lasciandolo solo. Quello fu un episodio che rivelò la pochezza di politicanti che poi portarono al disastro totale del partito.
A trent’anni dalla morte è difficile scrivere di Enzo con il distacco necessario che dovrebbe usare lo storico perché la sua vicenda umana è stata così drammatica che i sentimenti prevalgono sulla freddezza che lo storico dovrebbe praticare. Ma solo storicizzando la sua vicenda, lasciando da una parte le asprezze polemiche è possibile ricordare Tortora come uomo e personalità televisiva e giornalistica di spicco. Ad esempio, di fronte a tanta TV spazzatura che, sull’onda del berlusconismo, ci ritroviamo ogni sera davanti non possiamo non rimpiangere le sue trasmissioni semplici, espressione di un’altra Italia che purtroppo non c’è più. La sua compagna, Francesca Scopelliti, ha letto recentemente una sua lettera dal carcere che rivela la dolcezza di Enzo anche in un momento tanto difficile. Posso annunciare in anteprima che Francesca, vincendo a fatica una naturale ritrosia, pubblicherà una raccolta di lettere di Enzo dalla quale risulteranno evidenti i caratteri della sua straordinaria personalità che Massimo Mila in una chiacchierata con me definì “davvero fuori ordinanza”. Il Presidente della Repubblica Napolitano, inviando un messaggio a un recente convegno del Centro “Pannunzio” di Torino, ha scritto: “La vicenda giudiziaria che ingiustamente coinvolse il famoso conduttore televisivo, incise drammaticamente sulla sua vita privata e professionale. La figura di Enzo Tortora, fortemente legata alla storia della televisione italiana, testimonia come anche in condizioni di grandi difficoltà si possa combattere per il rispetto dei diritti inviolabili delle persona: egli seppe infatti fronteggiare con forza e dignità il dramma che ne sconvolse la vita”. Nessuno come il Capo dello Stato avrebbe potuto sintetizzare il senso di una vita stroncata immaturamente da una tragedia che lo travolse, ma lo fece passare subito alla storia migliore di quella che Bobbio chiamava l’Italia civile.
Pier Franco Quaglieni (Torino, 1947) è direttore scientifico della scuola di Alta Formazione storica “Federico Chabod” e direttore generale del “Centro Pannunzio” di cui è stato uno dei fondatori 45 anni fa insieme a Mario Soldati. E’ autore di oltre 500 saggi storici ed è giornalista dal 1968. Scrive su quotidiani e riviste, è decorato di medaglia d’oro di Benemerito della Cultura dal 1994. Fa parte del Comitato Nazionale per le onoranze a Cavour presso il MIbac, fa parte di comitati scientifici di parecchie fondazioni culturali. Ha vinto, tra gli altri, i Premi “Voltaire”, “Cavour Italia”,”Tocqueville”.