La ricerca scientifica tra virtù e conoscenza

Intervista a Carlo Alberto Redi a cura di Doriana Rodino.

Carlo Alberto RediIn vista della prossima Festa dell’Inquietudine, il cui tema sarà “Virtù&Conoscenza”, abbiamo sentito il parere in proposito di un grande scienziato italiano, Carlo Alberto Redi, professore ordinario di Zoologia e Biologia dello sviluppo all’Università di Pavia, già ospite del Circolo degli Inquieti nell’edizione 2011 della Festa. Redi è socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, managing editor dell’European Journal Histochemistry, membro del Comitato Nazionale Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita; già membro della Commissione Dulbecco sull’uso delle staminali. Dirige il gruppo che ha partecipato alla clonazione del primo topo, cumulina (1998) ed è anche autore del saggio “Il biologo furioso. Provocazioni d’autore tra scienza e politica” (Sironi, 2011), un titolo che lascia presagire l’eclettica irruenza di una personalità di primo piano.

Professor Redi, cominciamo con il chiederle che cos’è la virtù per lei?

“La capacità di non lasciarsi andare a scorciatoie nel raggiungere risultati di interesse per l’avanzamento delle conoscenze, o comunque di rilievo, per la possibilità di carriera accademica. Oggigiorno la pressione che un ricercatore avverte nel proprio lavoro di ricerca scientifica è ben superiore a quella di decadi orsono (per una serie di ragioni, accesso ai finanziamenti in primis) e dunque si realizza uno scenario nel quale si è tentati di rendere più “sexy” i propri dati per attirare l’attenzione dei media, per ricevere consensi ai fini della pubblicazione, per ricevere più fondi, per richiamare un maggior numero di allievi, e così via. Il rendere “attraenti” i propri dati può essere un’operazione molto pericolosa anche se non fraudolenta (un buon sistema di peer-review, letteralmente la revisione paritaria svolta da colleghi del settore prime della pubblicazione di un  articolo di ricerca, riuscirà a scovare l’abbellimento) poiché spalanca le porte ad azioni ben più malevoli: omettere dati sfavorevoli, alterare risultati, creare dati, insomma frodare. Tutto ciò crea danni di grande rilievo all’impresa scientifica e non è da confondersi con l’erore bona fidae, che può accadere.
Il lavoro del ricercatore è un lavoro che “mangia l’anima”, richiede una costante tensione, non si può farlo con il cartellino per timbrare le presenze. Lo si vede quando si entra in un laboratorio: decine di giovani che non sanno cosa sia il fine settimana, la serata libera e che si dedicano anima e corpo agli esperimenti. Ora è chiaro che non si può chiedere a loro di essere virtuosi se non lo è il ricercatore capo. Il non essere virtuosi è contagioso! L’impresa scientifica ha però metodi per limitare al massimo simili non virtuosismi: la firma multipla, l’interdisciplinarietà, la verifica da parte di tuoi pari come detto e così via. Il non seguire scorciatoie significa in primis dedicare tempo. Ecco, questo è il vero essere virtuosi: il dedicare tempo agli esperimenti, a concepirli, a parlare con i colleghi (anziani e giovani allievi), a eseguirli, a scrivere, a insegnare quello che sai, a imparare”.

Quindi lei si considera un virtuoso?

“Sì, come la stragrandissima-issimissima (sic) parte dei miei colleghi che hanno la fortuna di fare il ricercatore”.

E che cos’è la conoscenza?

“Quello che dice Leonardo e che sta scritto sul legno della porta di ingresso del mio ufficio: “La sapienza è figliola della sperienza”! Ora, se per conoscenza conveniamo che è la comprensione, la consapevolezza, di fatti “fisici” ottenuta attraverso l’esperienza con la metodologia sperimentale che adottiamo da Galileo in poi, be’ direi che non dobbiamo scomodare l’epistemologia o la filosofia della scienza per concordare sulla definizione ed afferrarne il significato profondo di una delle più salienti peculiarità umane: siamo riusciti a uscire dalle caverne preistoriche poiché negli ultimi 150.000 anni abbiamo saputo creare conoscenza. Esempi di conoscenza sono la citata filosofia così come la ruota, il fuoco, la musica, l’arte, la scienza, la tecnica, ecc”.

Per raggiungere i risultati che ha ottenuto nella sua carriera, serve più virtù o più conoscenza?
“Conoscenza raggiunta con virtù!”

Crede che i suoi colleghi italiani interpretino allo stesso suo modo l’essere virtuosi? E quelli stranieri come si comportano?

“Credo che tutti interpretino l’essere virtuosi allo stesso modo, se no non sei un ricercatore: sei un quaquaraquà”.

I dati presentati da Nature nello speciale di fine anno indicano il caso dell’anestesiologo Yoshitaka Fujii che ha pubblicato 172 articoli probabilmente falsi; due articoli dello psicologo Dirk Smeeters sono stati ritirati dall’Erasmus University Rotterdam dopo le sue dimissioni; secondo la rivista PNAS il 67% degli articoli di life sciences sono stati ritirati a causa di comportamenti malevoli come frode o plagio. Per quale motivo siamo arrivati ad avere questi numeri secondo lei?

“Preciso che il 67% è dei lavori ritirati, non degli articoli tout court! Be’, questo è importante e significa che circa un 30% dei lavori ritirati (che restano pochissimi davvero rispetto a quelli prodotti) è dovuto ad errori in buona fede. Certo è alto quel 70% circa di lavori fraudolenti. Però va precisato ancora che la dissezione per categoria indica che certe categorie del sapere sono ben più di altre soggette a queste deviazioni. Sono questi campi in cui la notorietà raggiunta con le pubblicazioni scientifiche “paga” più che in altre: il profitto purtroppo è un potente veleno. Il numero dei lavori fraudolenti va sempre aumentando, è vero. In parte penso sia dovuto alla pressione che il ricercatore si sente addosso e ha in effetti nel trovare danari e spazi e supporti in un’accademia, università, sempre più vista con gli occhi dell’aziendalismo e soggetta a regole che non le appartenevano sino a pochi decenni orsono, quelli della logica aziendale. Il lavoro di ricerca deve essere idealmente svolto in un contesto il più libero possibile dalle logiche di appiattimento alla burocrazia statalista (tutti eguali e similmente noti all’ufficio stipendi) ed al suo errore speculare, quello dell’aziendalismo più sfrenato: risultati subito per ritorni economici immediati dei prodotti della ricerca”.

Quale potrebbe essere il suo consiglio a un giovane che volesse intraprendere una carriera scientifica?

“Di cercare di entrare in questo mondo: credo sia un privilegio unico capace di esaltare la propria esistenza”.

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