Dialoghi tra culture: Dante e Islam

Giampero Bof
Maometto, “seminator di scandalo e scisma”, ci appare oscenamente squarciato in due in quella bolgia degli eretici in cui Dante lo getta nel Canto XXVII dell’Inferno.
Eppure il nostro Sommo Poeta colloca nel Limbo, e tratta con grande rispetto, musulmani come il munificente Saladino
o i sapienti Avicenna e Averroè. E questo ha fatto sì che molto si discutesse sul rapporto tra Dante e la “gente turpa”.a agli inizi del secolo scorso un dotto islamista spagnolo, Asín-Palacios, pubblicò “La escatologia Musulmana en la Divina Comedia”.
Da allora gli studi sui rapporti tra Dante –  e, più in generale, tra cultura europea del Medioevo –  e Islam,  presero un’altra piega…
E  ora, quello che  impetuosamente emerge, è il dialogo tra culture.
Europa cristiana e Islam
L’islam nacque, e successivamente si sviluppò, in ambienti nei quali ebraismo e cristianesimo potevano essere e furon di fatto incontrati.
Tale è stata l’esperienza di Muhammad, che ne ha lasciato tracce decisive nel Corano.
La progressiva espansione dell’Islam ha reso questi rapporti anche più stretti e meno evitabili. Di certo, anche e prevalentemente nel modo dei conflitti e delle guerre; ma conflitti, guerre, piraterie, prigioni e schiavitù rappresentano forme concrete e complesse di comunicazione, che non mancano di presentare aspetti positivi e pacifici. Così gli embarghi imposti sono dapprima violati, poi soggetti ad attenuazione e a deroghe, e poi superati; e un fenomeno minaccioso come la schiavitù finisce col divenire via di scambi culturali di straordinaria importanza.
Il mondo islamico ha sempre avuto chiara coscienza dell’origine straniera del proprio sapere, in generale, e specificamente della mediazione cristiano-bizantina del sapere filosofico e teologico; la cui ricerca e recezione non fu casuale, ma promossa e organizzata dall’autorità politico-religiosa dell’Umma (comunità dei credenti).
Il carattere di quella tradizione, che portò alla conoscenza dell’Islam il pensiero platonico, aristotelico, plotiniano, suscitò un movimento arabo-ellenizzante, la cui filosofia (falsafa) suscitò la reazione sospettosa dell’ortodossia religiosa, che la ritenne quanto meno importazione di un corpo estraneo. Non ne fu tuttavia compromesso l’operoso interesse, dal quale fiorirono le numerose traduzioni di testi di carattere scientifico, filosofico e teologico, e poi la rielaborazione islamica delle tematiche importate, che resero non solo celebri, ma decisivi, per lo sviluppo del pensiero latino, dotti quali al-Kindi, al-Farabi, Ibn Sina (Avicenna), Ibn Rusd (Averroè).
Non possiamo certo sottacere che tutto questo (Dante docet!) non mutò la considerazione cristiana di Muhammad, e della sua funzione, giudicata funesta, e assimilata a quella dell’Anticristo; se l’ostilità tra cristiani latini e bizantini poteva sollevare perplessità o crisi, questo non accadeva di certo nei confronti dei Musulmani, infedeli e nemici irriducibili.
Crociate e Mercanti
Le crociate divennero espressione emblematica di questa mentalità, e della situazione che contribuì a creare; ma esse non esauriscono il discorso dei rapporti e degli scambi tra cristiani e  musulmani, che muovono e agitano l’intera Europa,  e non solo le terre della conquista e della colonizzazione islamica. Funzione efficacissima di confronto esercitarono mercanti del Nord della Spagna, Normanni, marinai e guerrieri che salpavano, per loro attività, dai porti toscani, liguri e veneziani, sostenuti dalla determinazione all’impresa delle repubbliche marinare. Né furono irrilevanti gli influssi dei pellegrinaggi in Terrasanta, che conobbero anche periodi di rapporti pacifici, sin che il quadro generale non mutò, turbato e sconvolto dalle crociate. Pressoché vani furono, in terra musulmana, gli sforzi di predicazione missionaria, che però non risultarono destinati, di necessità, a pari insuccesso a livello di incontro culturale. La complessa trama di rapporti intessuta e vissuta nelle forme prevalenti della comunicazione non scritta, ma verbale, sostenuta peraltro da capacità e attività mnemoniche, da noi oggi mal raffigurabili, hanno esercitato funzioni straordinarie di integrazione tra i due mondi.
Tariq ibn Ziyad, Reconquista, Averroè
E non abbiamo ancor detto dei due principali eventi, il primo dei quali fu la conquista all’Islam, ad opera di Tariq ibn Ziyad, della parte meridionale della penisola iberica, nel 711. La dinastia Omayyade, che ne mantenne la principale signoria dal 755 al 1031, ne favorì uno straordinario sviluppo, e le possibilità di dialogo, sino ad improntare l’indirizzo di Toledo, riconquistata nel 1085, che divenne il centro del confronto tra le culture latina, araba ed ebraica.
La Reconquista, in generale, fu ovviamente una occasione straordinaria, per l’Occidente, di raggiungere una più precisa conoscenza del mondo islamico.
Il secondo importante evento fu l’integrazione tra cristiani e musulmani avvenuta nella Sicilia arabo-normanna, la quale raggiunse il massimo splendore sotto l’impero di Federico II, nell'”arabismo” della corte di Palermo.
Abbiamo già detto dello straordinaria fioritura di traduzioni. Tra il  XII e XIII secolo si svilupparono soprattutto quelle dall’arabo al latino, che, mediando importanti trattati di medicina di origine greca, contribuirono allo sviluppo e alla fama della “scuola salernitana”. Altri testi, di vario genere, si aggiunsero, arricchendo l’occidente europeo di grandi monumenti della cultura classica greca; nell’ambito filosofico, nel quale Ruggero Bacone riconosce l’eccellenza dei Greci e degli Arabi, testi decisivi furono la cosiddetta Metafisica di Avicenna e il Liber de causis, allora attribuito ad Aristotele. I metodi della traduzione – speso realizzata dalla collaborazione di un arabo e con un latino, che si intendevano mediante il volgare – condizionavano ovviamente la qualità delle traduzioni medesime, prossime a calchi verbali. La loro risonanza fu tuttavia enorme, e può essere esemplarmente misurata dal successo di Averroè, morto nel 1198, è tradotto in latino meno di vent’anni dopo.
Insieme alle numerose nozioni scientifiche e alle interessanti e talvolta decisive applicazioni tecniche, furono questi i fattori che diedero un impulso determinante al “rinascimento del XII secolo” e alla rinascita dell’Europa, che portò al compimento del medioevo, ed al suo sbocco nella sorprendente e rivoluzionaria novità del moderno.
Dante e l’Islam nella Divina Commedia
Il rapporto di Dante con l’Islam è stato espressamente istituito nella Divina Commedia (Inf 4, 142-144; Inf 28, 28-36. 55-63; Pa 10, 133-138), da Dante medesimo. Certo, interesse maggiore riveste la presenza dellacultura musulmana nella stessa Commedia, che, anche per questo,  esigerebbe d’essere considerata e trattata, oltre che quale immensa opera di poesia,  come la più grande enciclopedia del Medioevo, ove l’assimilazione della cultura islamica è non solo  testimoniata, ma efficacemente assimilata.
È sorprendente, e dove mance la sorpresa dovrebbe dominare lo sconcerto, che universalmente riconosciuta e minuziosamente ricercata influenza delle fonti classiche e cristiane su Dante, non sia corrisposta una simile ricerca delle fonti islamiche. Gli anni venti del secolo passato hanno visto l’accendersi di una polemica tra M. Asìn Palacios, autore dello straordinario testo: Dante e l’Islam. L’escatologia islamica nella Divina Commedia (1921), e i dantisti specialmente italiani, circa la fonti dei materiali escatologici, che Dante avrebbe ripreso da fonti popolari Islamiche, nelle quali si narra di viaggi non dissimili da quello di Dante, compiuti da Maometto. Non possiamo che lamentare il fatto che i dantisti, mossi dall’ammirazione o dal culto per Dante, e non immuni da sentimenti nazionalisti, abbiano dato non brillantissima prova di sé, cercando di rendere insignificante la loro ignoranza dell’arabo e della letteratura islamica, con un indispettito rifiuto che sonava molto prossimo al “nolo acerbam sumere”.
Forma mentis di Dante
La “forma mentis” soggiacente alla cultura di Dante è strutturalmente prossima a quella della cultura islamica, ad essa precedente o contemporanea; il dialogo non solo scientifico, ma filosofico e teologico, che allora s’è svolto e di cui Dante è stato significativamente partecipe, poggia non solo su quella forma mentis, ma su ampi consensi filosofici e teologici, per quanto riguarda sia la struttura di fondo del pensiero, sia l’interesse tematico, sia ancora le posizioni sostenute. Ne è emblematica riprova la vicenda dell’averroismo latino, quando non l’intera vicenda non sia ricondotta a miseri luoghi comuni.
Da quel tempo la cultura europea ha vissuto l’esperienza vulcanica del moderno, che ha configurato non solo acquisizioni rivoluzionarie a livello scientifico, tecnologico, e di generale mentalità, che rendono difficile, se non impossibile, un confronto e un dialogo con l’islam; il quale, invece, pare aver sostanzialmente realizzato la propria evoluzione – che solo il nostro eurocentrismo squalifica come “arretratezza” – entro il quadro passato, che noi diciamo medioevale. Ecco dunque una modestissima proposta, che ci pare potrebbe facilitare, a strati relativamente ampi della nostra società, il confronto dialogico con gli islamici.
Studiare Dante per comprendere l’antico Islam
Studiare Dante è per noi una possibilità non remota: si tratta di procedere, a ritroso, nella nostra propria tradizione: una ricuperabile tradizione di famiglia, che promette ancora di arricchirci di una straordinaria esperienza culturale, artistica, umana, alla quale la Commedia è sempre in grado di ricondurre.
Il raggiungimento di questa meta ci condurrebbe anche alla più prossima testa di ponte non solo per comprendere l’antico Islam di allora, ma per accostarci all’Islam di oggi, che vive nella struttura culturale del passato, con tutto quello che essa comporta a livello di sensibilità, di aspirazioni, di progetti, di istituzioni, di forme di vita e di comportamento.
Comprenderci, conoscerci fuori dei luoghi comuni, superando la troppo ovvia identificazione dello straniero con il nemico, cui siamo più facilmente inclini quando lo straniero non si presenta nelle forme invidiabili della ricchezza e del potere, sempre fascinose e facilmente asserventi, sarebbe già una grande conquista. E in un mondo, dove l’inerzia mentale e morale rende sin troppo plausibili proclamazioni e progetti di conflitto di civiltà, nei quali riesce ben difficile non sospettare intenzioni di dominio e di violenza, non merita qualche attenzione anche una proposta talmente disarmata da apparire sogno dell’ingenuità, ma i cui costi sono tanto irrilevanti, quanto promettenti per una migliore intonazione umana del nostro futuro?
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